Nato nel 1980, Marco Santagati, da tutti conosciuto come Marco Sarraceniaceae Asclepiadoideae, relatore fisso all’annuale meeting siciliano di Messina all’Orto Botanico “Pietro Castelli” è socio AIPC e NASC.
Appassionato di molti generi, grande conoscitore del genere Sarracenia, gestisce Carnipedia, da sempre impegnato nella sensibilizzazione ecologica e nella realizzazione di sistemi detti a migliorare l’ecosostenibilità e la comodità del coltivatore.
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Come è iniziata la tua esperienza carnivora e cosa ti ha spinto a coltivare questi generi ?
Ho sempre vissuto in città, ma ci sono sempre stato male. Per qualche anno, quando ero ancora un bambino, i miei genitori affittarono una casetta in campagna alle pendici dell’Etna per il periodo delle ferie estive. Aspettavo quel momento per tutto l’anno. Delle mie scorribande fra piante, insetti e lucertole, con la terra sotto le unghie, le mani e le braccia sempre piene di graffi e il cuore che mi scoppiava in petto per le corse a perdifiato, ricordo una sensazione di profondo benessere, di emozione, di entusiasmo, di pura e completa felicità. Avevo costruito una sorta di piccola cittadina sotterranea scavata nella terra di un’aiuola, dove davo alloggio a una moltitudine di Armadillidium vulgare (i cosidetti “porcellini di terra”), mentre nella casa in città avevo messo su un piccolo allevamento di lumache, che salvavo da morte certa uscendo per strada dopo ogni pioggia, raccogliendole dai marciapiedi prima che qualcuno le schiacciasse. Ricordo che una notte riuscirono ad aprire il contenitore e che quando le raccolsi ne mancavano alcune all’appello. Per alcuni anni, ai miei familiari continuava a capitare saltuariamente di vedere delle lumache passeggiare sui muri di qualche stanza. Inoltre, collezionavo mute di serpenti che trovavo fra i cespugli e persino i soffioni di tarassaco, che mi sorprendevano al minimo alito di vento col loro volo leggero. Un’altra mia passione sono i minerali.
Nel frattempo, crescevo; la casa in campagna non si affittava più e così sul balcone di casa iniziai a scoprire il piacere della coltivazione di qualche pianta. Con mia delusione, dopo aver avuto un approccio “selvatico” alla natura, le piante composte e asettiche proposte da fiorai e vivai non riuscivano mai a soddisfarmi appieno: soprattutto, non riuscivano a darmi quel senso di piacere totale che provavo un tempo, da bambino, stendendomi fra le mie amate “erbacce”, fra papaveri, pratoline, piante selvatiche, con la sinfonia dei ronzii degli insetti che sfrecciavano, chiudendo gli occhi col sole in faccia, immerso nell’odore dell’erba. A un certo punto, dopo anni e anni di vita fra asfalto e cemento, credevo di aver perso quella dimensione di pace e che non l’avrei mai più ritrovata, così mi arresi a coltivare delle rose, ma con entusiasmo altalenante e infine le mollai. A quattordici anni iniziai ad occuparmi di arte: principalmente musica, pittura, modellazione plastica, fotografia e scrittura. Nel periodo dal 1998 al 2000, scrissi anche un libro horror-splatter sulle piante carnivore, che mi avevano sempre incuriosito ma delle quali non sapevo nulla. Il racconto, piuttosto truculento, aveva come protagonista un botanico ed era in parte ambientato nella campagna in cui avevo vissuto i miei momenti più felici, ma non lo completai mai. Passarono gli anni, la mia sfera artistica si ridimensionò alla musica e agli acquerelli, forme d’arte che non ho abbandonato affatto, e iniziai a lavorare come grafico: il mio attuale lavoro. La mia felice dimensione “naturalistica” era ormai quasi perduta e il mio unico contatto profondo con le altre specie era quello con la mia adorata gattina Alice.
Coltivavo piante succulente con piacere, ma niente di troppo particolare. Amavo i documentari e le letture su piante e animali.
Una mattina del 2006, quando avevo 25 anni, mentre mi recavo al lavoro passai davanti a un fioraio che esponeva, su un piccolo ripiano davanti alla porta del negozio, delle piccole piante carnivore.
Capii in un istante che avevo davanti agli occhi qualcosa che mi avrebbe cambiato profondamente. Fu un momento solenne, di una intensità travolgente. Dimenticai ogni cosa. Il sole mi colpiva il viso, io chiusi gli occhi e improvvisamente non stavo più andando al lavoro. Mi trovavo fra papaveri e fili d’erba, i porcellini di terra erano al sicuro nella loro cittadina, sentivo i graffi bruciare sulle mani, avevo la terra sotto le unghie. E mi venivano alla mente dei passi del mio racconto abbandonato anni prima. Mi portai al lavoro un vasetto di Drosera capensis, uno di Dionaea muscipula, uno di Sarracenia x “Stevensii” e uno di Nepenthes x hookeriana. Era fatta. La giornata sembrava non finire più, ma quella sera tornai a casa con un tesoro fra le mani. Di lì a poco, cercando disperatamente online qualche segno di vita “carnivora”, scoprii per puro caso la chat “piantecarnivore” sul server Azzurranet di IRC. Oggi sembra preistoria, ma ai tempi quello era ancora il massimo che si potesse chiedere. Lì conobbi diversi coltivatori già molto più avanti di me, alcuni dei quali della mia regione. Nel 2008 partecipai al primo meeting siciliano delle piante carnivore, evento annuale che va avanti ancora oggi e che riunisce i coltivatori siciliani. Approdai poi al forum nazionale Rexplants, infine entrai in AIPC. Nel tempo, la mia attenzione si è rivolta sempre più alle piante da salvaguardare in natura, carnivore o non carnivore che siano, in quanto le ritengo decisamente più importati di quelle che coltiviamo in vaso, che provengono da altri ecosistemi e che per quanto possano appassionarci, costituiscono una mera velleità.
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Quale è la tua specie carnivora in coltivazione preferita? Cosa di questa attrae il tuo interesse?
Nonostante la mia passione per le piante carnivore sia abbastanza omogenea, il genere che più di tutti mi appassiona al momento è Sarracenia. Sono uno che si concentra sulle letture, sugli approfondimenti, sullo studio e sulla sperimentazione, per comprendere sempre meglio ogni aspetto di questo meraviglioso genere vegetale. Ma non è solo la carnivoria ad appassionarmi, leggo molto anche sugli insetti, sulle interazioni pianta-animale, sulla dispersione dei semi, sulle forme di mutualismo, sul mimetismo e su altri temi naturalistici che non mancano di sorprendermi. A dispetto di quello che sembrerebbe un freddo approccio da nerd, il mio interesse per le piante ha qualcosa di interiorizzato, di indefinibile, collegato più alla ricerca della mia pace interiore e della mia antica felicità, della quale ho già parlato. Poche attività mi intrattengono quanto la ricerca delle spiegazioni scientifiche celate dietro ad ogni prodigio della natura.
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Quali consigli daresti ai coltivatori che si accingono a coltivare la tua specie preferita?
Il mio consiglio più importante è quello di apprendere, per quanto possibile, quali siano le esigenze di Sarracenia e poi di ingegnarsi per soddisfarle, piuttosto che chiedere istruzioni passo-passo ad altri coltivatori, per poi seguirle senza cognizione di causa: ad ogni diversa condizione ambientale, corrispondono differenze enormi nel metodo di coltivazione ottimale. Io, che coltivo in un contesto mediterraneo e che tengo le mie Sarracenia all’aperto, quest’anno ho registrato una volta anche 48.5°C all’ombra con umidità al 10%, ma le mie sarracenie crescevano benissimo, alte e floride, perché venivano nebulizzate spesso, anche con una spruzzata ogni cinque minuti nelle ore calde dei giorni più torridi, mantenendo un’umidità localizzata superiore al 30% e gli ascidi tutti bagnati. Negli anni, però, ho sperimentato moltissimo e ho perso molte piante. Grazie a queste perdite, ma anche grazie a molteplici successi, oggi adotto tutta una serie di metodi per contrastare il caldo secco dell’estate, per scongiurare ogni rischio di essiccamento accidentale del substrato, per evitare come la peste il riscaldamento dell’acqua nei bancali e per mille altri fini. Si dice che la coltivazione di Sarracenia sia relativamente semplice: queste piante tendono a sopravvivere in un grande range di condizioni ambientali. Tuttavia, nessuno dovrebbe coltivare una pianta accontentandosi di vederla “sopravvivere”. Bisogna trovare, ognuno nelle proprie condizioni ambientali, i metodi giusti per vedere le piante crescere, dare il meglio, mostrare i loro caratteri appieno e rispondere ai nostri interventi, prendendo nota di quali si rivelano vincenti e quali no.
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Conosciamo il tuo impegno del lavoro di sensibilizzazione ecologica nell’ambito carnivoro, ci spiegheresti perché è cosi importante per te?
La nostra società è ai ferri corti con sé stessa; siamo una specie che gioca la sua ultima carta sul piano ambientale e che probabilmente sta ormai perdendo questa sfida epocale, avendo già estinto una moltitudine di altre specie con la sua aggressività, con il suo sovrappopolamento e con il suo smoderato sfruttamento delle risorse. Vale comunque la pena di evidenziare che la mia continua sperimentazione a nulla servirebbe, se non fosse condotta col preciso intento primario di minimizzare l’impatto ambientale della coltivazione, trovando metodi alternativi a quelli standardizzati, in quanto questi metodi tramandati da decenni senza mai essere messi in discussione spesso presentano delle problematiche sotto il profilo ecologico. Non uso torba dal 2011-2012 per i motivi che ormai tutti conosciamo, uso vasi in plastica che ho acquistato usati (e sporchi) da un agricoltore italiano (anche se ciò mi costringe a fatiche notevoli con acqua e spazzolino ogni volta che mi serve un nuovo vaso). Quando i miei vasi riciclati saranno troppo vecchi e si romperanno, potranno ancora essere riciclati come plastica. Un aspetto ancora da risolvere è quello dell’acqua, infatti la coltivazione di Sarracenia implica un certo consumo di acqua demineralizzata, con conseguente scarto. Sto progettando da due anni un sistema di distillazione veloce ad energia solare, è molto complesso, ma sembrerebbe dover funzionare. Non svelerò per adesso i dettagli su questo sistema, ma quando sarà completo avrò risolto un altro problema che mi sta molto a cuore.
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Seguiamo ormai da anni le tue pubblicazioni su Carnipedia, e l’impegno profuso nel campo della ricerca dei substrati alternativi, ci parleresti del tuo mix per Sarracenia?
Carnipedia ha compiuto dieci anni da poco, ma la ricerca di substrati alternativi è stata al centro di questo progetto solo negli ultimi sei o sette. Dopo un paio di anni di sperimentazione con vari materiali alternativi alla torba, ho preso nota delle proprietà fisiche e delle prestazioni di pareccchi substrati sperimentali, fra i quali particolare interesse hanno suscitato la segatura di legno naturale, i trucioli di legno naturale, la corteccia di pino e la fibra di cocco. Dopo aver provato dei mix di diverse proporzioni di questi elementi, ho ottenuto un substrato che nelle mie condizioni ambientali offre prestazioni a mio avviso superiori a quelle del vecchio mix, ancora oggi molto diffuso, fatto di torba acida di sfagno e perlite. Il mio substrato contiene ancora perlite nella misura del 25%, ma sto cercando un sostituto vegetale per poter finalmente smaltire il composto esausto come rifiuto organico, anche se c’è da dire che a differenza della torba, questo substrato si deteriora molto lentamente nelle mie condizioni, non necessitando di essere eliminato e ripreparato ogni due anni, come avveniva invece con la torba. Un esperimento di sostituzione della perlite con il tutolo di mais è stato, purtroppo, completamente fallimentare. Mi appresto a provare la coltivazione in tessuti fibrosi ottenuti dalla potatura di Chamaerops humilis, una palma endemica mediterranea.
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Uno dei maggiori problemi che affligge i coltivatori di Sarracenia sono le marcescenze del rizoma. Quale è il tuo punto di vista sulle possibili cause ?
Non ho avuto questo problema almeno negli ultimi sette anni, che è più o meno da quando ho iniziato ad offrire alle mie Sarracenia condizioni idriche molto stabili e a sostenere una certa umidità, evitando in ogni modo di fargli sperimentare stress idrici, anche se brevi. Parlando delle cause in senso stretto, ritengo che gli accumuli di sostanze frutto della naturale decomposizione del substrato si accumulino nelle parti lignificate dei rizomi, a causa della loro precedente concentrazione a carico del materiale spugnoso che costituisce i petioli dei vecchi ascidi morti e le vecchie radici ancora attaccate ai rizomi. Quando le parti più anziane di un rizoma iniziano a lignificarsi, i tessuti che le compongono perdono le loro caratteristiche fisiche e le loro protezioni biologiche strutturali e lasciano penetrare anche eventuali funghi insediati nei vecchi tessuti decomposti circostanti. Marcescenze possono originarsi anche in caso di luce insufficiente e substrato asfittico, con la comparsa della botrite e di altri funghi, in caso di rizomi dai quali siano stati strappati ascidi ancora vitali causando lacerazioni ed esposizione dei tessuti interni. Inoltre, ricordo che nei primi anni di coltivazione osservavo spesso dei marciumi a carico dei punti di crescita in caso di presenza di parassiti come la cocciniglia cotonosa, che con le sue punture crea un pericoloso connubio fra indebolimento della pianta, secrezione di zuccheri e danni da suzione: un invito a nozze per i funghi! Altre creature che possono nuocere enormemente alle sarracenie sono gli sciaridi. Normalmente, le larve di questi ditteri si nutrono di funghi e delle radici dei giovani semenzali. Ma mi è capitato di esserne stato letteralmente invaso un anno, trovando i rizomi terribilmente danneggiati e perdendo molte piante a causa di un attacco fungino diffuso successivo all’infestazione. Non a caso, gli sciaridi vengono chiamati in inglese “fungus gnats”, ossia “moscerini dei funghi”. Ho il sospetto che la presenza di Trichoderma nel substrato favorisca in una certa misura la presenza degli sciaridi, ma devo ancora approfondire meglio questa mia congettura. Da alcuni anni ho abbandonato l’utilizzo di sostanze chimiche e una moltitudine di specie di insetti e ragni popola le mie piante, facendo fuori i parassiti. Recentemente ho dovuto riparare le piante in casa per alcuni mesi a causa di lavori edili condominiali e l’equilibrio fra questi insetti si è violato, quindi sto al momento rinvasando tutto e questa volta, in attesa che la “comunità entomologica” si sia ristabilita, terrò in considerazione un blando trattamento antiparassitario, intervenendo tempestivamente con piretro naturale solo su eventuali focolai.
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Uno dei tuoi progetti che ha destato maggiore curiosità nel mondo carnivoro è Coltivino, come ha migliorato la tua coltivazione e in che modo l’automazione può venire incontro ai coltivatori?
Il mio sistema, “Coltivino”, è piuttosto articolato. Da anni avevo il sogno nel cassetto di realizzare un controllo remoto per regolare le condizioni ambientali godute dalle mie sarracenie, ma questo sogno è diventato una vera e propria esigenza da quando ho iniziato, per motivi personali, ad essere lontano da casa molto spesso anche per diversi mesi consecutivi. Non avendo nessuno a cui chiedere un impegno continuo per mantenere in salute le mie piante durante le mie continue assenze, ho dovuto studiare un po’ di elettronica partendo dalle basi, perché prima non sapevo praticamente come fosse fatta una resistenza, e ho imparato anche a scrivere dei firmware. Amo apprendere in generale ed ho trovato molto appassionante questo lavoro, oltre ad aver sopperito a una mia esigenza pratica con i miei soli mezzi e senza soluzioni preconfezionate. Adesso, in ogni momento e da ogni parte del mondo posso conoscere il livello dell’acqua nei miei bancali, la temperatura dell’acqua, il grado di idratazione del substrato, la temperatura e l’umidità percepite dalle piante, il livello di insolazione, la presenza di eventuali precipitazioni e la loro intensità, oltre ad impostare il livello idrico e l’umidità relativa che desidero fornire alle mie sarracenie. Ciò grazie alla gestione automatizzata di un impianto ad osmosi (che versa l’acqua direttamente nei bancali) e di un sistema di nebulizzazione. Posso anche attivare o disattivare questi dispositivi a mio piacimento con una modalità “manuale”. Con l’adozione di questo sistema, la differenza principale per le mie sarracenie è stata la maggiore umidità, con una conseguente produzione di ascidi immensamente più alti che in passato!
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Quale divoratore compulsivo di libri, qual è quello nella tua biblioteca che ritieni ti abbia dato di più e quale sarà il tuo prossimo acquisto?
Il massimo lo sto ricevendo da un libro che sto ancora leggendo, “Plant-Animal Communication”, di H. Martin Schaefer e Graeme D. Ruxton, Oxford University Press, 2011. Infatti, non essendo appassionato solo di piante carnivore, bensì di ogni particolare forma di adattamento coevolutivo, mi interesso ad ogni esempio complesso di interazione pianta-animale. Questo libro, regalatomi dalla mia compagna con la quale condivido la passione per la natura, ne offre una prospettiva di grandissimo rigore scientifico, lanciando innumerevoli spunti di approfondimento. C’è anche un capitolo sulle piante carnivore, ma non ci sono ancora arrivato e non è quello il motivo principale per cui sto amando questo libro.
Nello specifico delle piante carnivore, mi diletto invece nella lettura di pubblicazioni scientifiche, ma ho apprezzato anche alcuni libri di Redfern Natural History, i quali, nonostante un approccio non troppo accademico e a tratti anche informale, sono sempre una lettura estremamente entusiasmante e mi hanno insegnato moltissimo, senza impegnarmi eccessivamente. In particolare, “Sarraceniaceae of North America” di Donald Schnell e Stewart McPherson, 2011, ha a mio avviso un taglio più professionale della media e ha migliorato il mio approccio al genere Sarracenia con una moltitudine di informazioni sul piano ecologico, proponendo in appendice una autorevole panoramica tassonomica aggiornata del genere, sulla quale concordo, a parte alcuni punti che non mi convincono del tutto in merito alla definizione di ranghi di varietà e sottospecie in alcune delle unità tassonomiche elencate e trattate.
Il mio prossimo acquisto sarà assolutamente “Carnivorous Plants”, di Aaron Ellison e Lubomir Adamec, Oxford University Press , 2018. Una pietra miliare con pochi precedenti nella storia “letteraria” delle piante carnivore, della quale sto faticando a fare a meno.
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In questo periodo si è avvertito un certo lassismo nell’ambiente carnivoro, con addirittura spiacevoli vicende che vanno ben oltre la coltivazione, come pensi che si possa ritornare a quel clima che negli scorsi anni ha contraddistinto la comunità?
Quando vi entrai, dieci anni fa, questo era un ambiente un po’ più tranquillo, ospitale e vivace di oggi, inutile negarlo. Diciamo che sono arrivato appena a poterne godere: in qualche anno, qualcosa sembra si sia guastata. E chissà com’era ancora prima, chissà cosa mi sono perso! La comunità carnivora, che era sempre stata un contesto sì di nicchia, ma anche accogliente, dominato dal piacere della condivisione, migrò gradualmente dallo storico forum di Rexplants a Facebook, avviandosi a una nuova era “social”, senza volti e senza barriere, dove ognuno, se gli conveniva, poteva accedere indossando una maschera. Questa fase coincise con un enorme allargamento numerico della comunità, costituita ormai anche da moltissimi utenti non eccessivamente “fissati”. Non è più necessario neanche creare un account e presentarsi su un forum, basta cliccare sull’iscrizione a un gruppo facebook. Attenzione, però: sarebbe sintomo di grande ottusità dichiarare che tutti i mali della nostra comunità siano venuti dai più giovani o dai meno appassionati: la decadenza è stata trasversale e intergenerazionale. Nascondendosi alla meno peggio dietro alle “maschere” del nostro tempo, chi cova negatività finisce per abusare della propria libertà esternando i suoi aspetti peggiori; dopotutto, questo potrebbe essere un bene, perché porta le eventuali mele marce allo scoperto, aiutandoci a valutare con chi sia davvero il caso di continuare ad interagire. Voglio ringraziare tutti coloro i quali, coltivando piante carnivore dagli anni ottanta o da due giorni, contribuiscono con atteggiamento positivo a questo ambiente: sono ragione di orgoglio per chi ha faticato a far crescere questa comunità partendo da basi inclusive e da un atteggiamento amichevole e sincero.
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Quali sono i tuoi futuri progetti carnivori? Ogni anno abbiamo il piacere di ascoltarti nei momenti dedicati alle conferenze, porterai quest’anno l’argomento Peat-free al meeting di Messina all’Orto Botanico “Pietro Castelli” ?
Il tema della coltivazione con substrati alternativi è stato già il tema di una intera conferenza, mentre in un’altra ho parlato degli adattamenti evolutivi delle piante carnivore in habitat, chiudendo il discorso sulle minacce legate all’antropizzazione e su come coltivare con un approccio volto all’ecologia, includendo una serie di consigli per il mix. All’Orto Botanico “Pietro Castelli” di Messina è anche presente un grande pannello da me realizzato sulla preparazione di un substrato ecologico per la coltivazione di Sarracenia. Il pubblico del meeting siciliano conosce ormai questo approccio alla questione e devo dire che i coltivatori siciliani, di riflesso, hanno maturato una sensibilità ambientale generalmente superiore alla media. Mi fa star bene pensare di aver dato il mio piccolo contributo in tal senso, ma credo che, se terrò una nuova conferenza, la incentrerò sul tema delle automazioni in coltivazione, ovviamente da alimentare con energie pulite. E, se farò in tempo, presenterò in quell’occasione il mio distillatore solare a produzione veloce, che però al momento è purtroppo ancora lontano dalla fase di prototipazione.
Gengis 24 febbraio 2018
Foto di Marco Santagati.
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