Nato il 19 febbraio 1988, Daniele Righetti, già all’asilo interessato più alle aiuole degli iris che ai giochini, si laurea in Scienze Naturali nel 2012, diventando Dottore in Scienze della produzione e protezione delle piante nel 2016 alla facoltà agraria di Milano. Coltivatore carnivoro ventennale, negli anni sviluppa le competenze base per affrontare i lavori manuali per la realizzazione delle strutture dette alla coltivazione diretta. Già vincitore del prestigioso premio Furio Ersetti nel 2012 con la sua Roridula Dentata, successo sfiorato nel 2008 con Nepenthes truncata. Recentemente la sua collezione ha ricevuto il riconoscimento SOI di livello nazionale, ed è stata riconosciuta anche dal Corpo forestale dello Stato.
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Credo che ad oggi tu sia il coltivatore in possesso della collezione italiana più vasta in assoluto, cosa ti ha spinto ad iniziare, e cosa di queste specie ti ha attratto?
Addirittura? Se ti riferisci solo al genere Sarracenia, non saprei. Molte persone stanno generando tante piante interessanti da seme. Se ti riferisci al fatto che in collezione ho sarracenie, dionee, nepente, brocchinie, pinguicole, un po’ di drosere e darlingtonie, potrebbe essere, anche se comunque qualche dubbio mi resta. Sto notando sempre più che molti coltivatori lontani dai riflettori di Facebook hanno collezioni molto ricche.
Ad ogni modo, io ho sempre amato le piante, fin da quando ho ricordi, ma non nel senso “che bel fiorellino”, ho sempre voluto sporcarmi le mani, maneggiarle cercando di capire come radicano, le talee, i semi…
Ho avuto, a fasi, interesse per diversi generi di piante, dalle succulente alle acquatiche, dalle orchidee alle felci, ma attualmente le carnivore sono il mio punto di arrivo. Non avrei potuto trovare di meglio, soprattutto parlando del mio genere prediletto: Sarracenia!
Non saprei cosa mi ha spinto ad iniziare, è qualcosa di innato. Probabilmente la loro bellezza, l’eleganza, sono piante particolari. Ha influito anche la facilità di coltivazione, che non è un dettaglio da poco! E poi la possibilità di creare ibridi e divertirsi con la genetica, ed anche gli affascinanti luoghi di origine che purtroppo sono a rischio perché molto delicati. La loro ecologia e la loro evoluzione.
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Come tu facesti parecchi anni fa, anche oggi molti giovani ragazzi si avvicinano all’avventura della coltivazione di specie carnivore, rivolgendoti in particolare ai più giovani cosa ti sentiresti di consigliare?
La mia esperienza carnivora iniziò nel 1999 con Sarracenia x farnhamii, pianta che ho ancora adesso! Un ibrido di poco valore, ma come per i numismatici è una sorta di moneta numero uno. Prima di allora ebbi esperienza negativa con la dionea, che molto raramente si trovava in commercio, la ricordo nei supermercati messa nei vasetti di terracotta al costo di 20 mila lire, ma che gioia quando la si trovava!
Oggigiorno con Facebook tutto è molto cambiato, trovi di tutto e subito. Specie rarissime o forme particolari come S. leucophylla var. alba o S. flava var. atropurpurea, che un tempo erano sudate per mesi o addirittura per anni, oggi sono a portata di un click. Il problema è che chi si avvicina a questo mondo diventa sempre più pretenzioso e ansioso nell’avere tutto bello, grande, subito e gratis.
Forse sarebbe il caso di ricominciare dalle basi, da Drosera capensis, da Dionaea muscipula e da Sarracenia flava var. flava. Consiglio di tenere per uno o due anni poche specie di vari generi, così da poter capire bene le proprie potenzialità climatiche, personali e gestionali. Così si eviterebbe di vedere tante collezioni appena iniziate, dove tra 5 o 6 piante, già svettavano punte di diamanti come S. x ‘Adrian Slack’, sofferenti e moribonde: ridiamo a queste fantastiche piante il rispetto, la cura e il valore che meritano, ricominciamo dal basso. È questo il modo migliore di intraprendere una via della crescita ricca di soddisfazioni, conoscere amici appassionati e non ridurre tutto a un mero atto di compravendita prima e pianticidio poi.
Ai più giovani consiglio l’arte della pazienza, così come a tutti quelli che si avvicinano al mondo carnivoro, indifferentemente dal dato anagrafico. Infatti la prerogativa nel volere tutto e subito non è relazionata all’età, ma un fattore che accomuna tutti in modo trasversale, ed è tipico di chi è nuovo nel campo delle piante, carnivore in particolare.
Vorrei anche consigliare, visto che dovrete quasi sicuramente passare dalla morte di alcune piante, come succede a tutti, per capire ed affinare al meglio la tecnica nella propria zona climatica, -anche per questo motivo, ricordo che non è saggio iniziare con piante troppo costose o esigenti-, di non fermarsi davanti ad un insuccesso, una pianta morta è un’enorme opportunità per capire cosa si è sbagliato e occasione per migliorarsi nella coltivazione: l’esperienza è la madre di tutta la scienza.
Non pretendete di ottenere risposte belle e pronte da chi coltiva da anni, spesso chi vi risponde vive in zone climatiche totalmente diverse dalle vostre, quindi a parte linee guida generali non vi potrà stilare il manuale del perfetto coltivatore, ognuno dovrà prendere con le pinze i consigli che gli vengono dati e applicarli al proprio contesto. Coltivare in zona costiera o in montagna, al nord, al centro o al sud, sull’Adriatico o sul Tirrenico, in zona ventosa o calma, umida o secca, fortemente soleggiata o meno, in un campo o sul terrazzo e cosi all’infinito, cambia molto la reazione delle piante e di conseguenza solo osservandole potremo essere in grado di capirle e sapere come comportarci. Ricordiamoci che sono esseri viventi e anche se si adattano e a volte rispondono in modo imprevisto ai fattori esterni, possono morire.
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Abbiamo saputo del tuo recente viaggio nelle zone umide, habitat di molte delle specie che abbiamo in coltivazione, nel vedere queste piante in natura cosa ti ha colpito rispetto alla coltivazione hobbistica?
Mi ha colpito vedere che tutto sommato, rispetto alla credenza collettiva di luce diffusa, le piante ne ricevono moltissima, ma il sole diretto vero e proprio non è poi cosi abbondante, vuoi perché l’area climatica è spesso soggetta ad annuvolamenti, vuoi perché le sarracenie crescono sotto a foreste di pini, in zone di radura è vero ma pur sempre con alberi a tratti più radi, a tratti più fitti.
Inoltre mi ha colpito notare come il clima estivo sia particolarmente simile a quello della afosa pianura padana, che è forse una delle poche aree climatiche italiane in cui in le sarracenie prosperano con estremo vigore regalando rizomi enormi anche senza l’aiuto di serre o altri accorgimenti detti a migliorare le condizioni di coltivazione.
E nonostante la coltivazione avvenga in vaso, dove il ristretto volume complica le cose, direi che Sarracenia ben si adatta a questo, dove però è meglio coprire lievemente il rizoma con il substrato, lasciare invece i rizomi esposti al sole diretto potrebbe causare danni.
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Nonostante la grande quantità di esemplari che coltivi, c’è qualche clone che preferisci o a cui sei particolarmente legato? Quale è la tua specie preferita e cosa la rende tale?
I cloni a cui sono più legato per forza di cose sono quelli che ho cresciuto da seme, ma direi che mi piacciono tutte. Nel senso che, la bellezza che hanno le sarracenie sta proprio nella loro incredibile variabilità genetica e nell’interfertilità, il che porta a poter ottenere ibridi sempre imprevedibili, diversi e affascinanti per forma, colore, dimensione e vigore. Motivo, questo, per cui non riesco a trovare una sola pianta preferita.
Se proprio devo scegliere una specie, preferisco Sarracenia flava, perché è quella che presenta il maggior numero di varietà, forme, colori, ed ne esistono varie forme mutanti, come le lidless e le open pitchers.
Ho avuto anche l’onore di poter registrare due cloni di Sarracenia, nati da seme presso la mia collezione. Il primo, un esemplare di S. x moorei, caratterizzato da ascidio bianco con macchia rosa tenue sul collo, che ho dedicato alla mia ragazza “Silvia Luise”. Il secondo, un clone particolare, strano, pazzesco. Può diventare molto grande, sfiorando il metro di altezza, ma ha anche una buona larghezza. Presumibilmente si tratta di S. x moorei, ma di fatto una pianta di costituzione sconosciuta. In piena estate si presenta con tinta rossa scura, cupa e senza venature né sfumature, di colore piatto, uniforme e l’interno, totalmente privo di pubescenza, è ricco di sostanze cerose, che, grazie al contrasto col colore scuro, donano un aspetto cangiante. Per questo motivo è stata chiamata S. x ‘Metallized’, che significa appunto metallizzato, cangiante. Guardare l’interno della foglia, muovendolo, in pieno sole, fa apprezzare appieno tale caratteristica che è presente in realtà in molte altre sarracenie, ma in questo esemplare è molto accentuata, portata all’estremo. Inoltre il bordo dell’ascidio è irregolare e spigoloso, come un famoso altro clone, la cultivar S. x ‘Reptilian Rose’.
- Vista che la tua specie preferita è S. flava, quale consiglio puoi dare ai nostri lettori per la coltivazione ?
Sarracenia flava è forse una delle specie del genere Sarracenia più legate all’acqua, quindi gradisce avere rizomi in vasi ampi con molta acqua sotto, che in particolare, da primavera tengo fino a metà della altezza del vaso, per poi ridurla dalla tarda estate e in inverno fino a tenerne un centimetro.
Una ottima luminosità è sempre da garantire per avere ascidi dritti e colorati. Il sole diretto va bene al nord, ma in caso di luoghi con clima secco e ventilato e sole molto violento sarebbe bene prevedere dell’ombreggiatura nelle ore centrali, che è quello che i pini garantiscono in natura.
Sulla qualità dell’acqua non si transige, che deve essere sempre ottima con salinità bassissima, non oltre i 50 ppm, mentre sul substrato sono più tolleranti, questo deve sempre essere non salino e privo di concimi, per altri aspetti quali pH, sostanza organica e etc… Si può notare come le sarracenie si adattino bene a un po’ di tutto, torba, cocco, sabbia.
- Nella vita di ogni coltivatore ci sono alti e bassi, quale è il momento carnivoro, più bello che ricordi ?
Ogni volta che entro in serra è una sorpresa. Ogni volta che le vedo, soprattutto nella stagione di crescita, è una scoperta. Il notare un particolare seedling, una forma o un colore unico. Vedere una pianta rigenerarsi dopo una divisione fino ad assistere alla forza di un rizoma che spacca il vaso. Ma il momento più bello in assoluto è stato quando dal balconcino con 3 ore di sole, su cui le piante vivevano ma erano brutte, ho avuto la possibilità di avere una serra.
Ogni volta che entro in serra è una sensazione nuova.
I bassi sono sostanzialmente problemi dovuti alle circostanze della vita e non alle piante, che porta per vari motivi a non poter sempre essere presenti come si vorrebbe per gestire i problemi, come l’affrontare una estate rovente o un inverno gelido. Non c’è mai da stare tranquilli! Ma quando questi periodi passano, il fascino di queste piante ripaga enormemente.
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Rispetto al passato l’ambiente carnivoro italiano sembra aver subito, negli ultimi anni, una sorta di lassismo, di conseguenza rallentando nella sua vita e portando all’apatia nella condivisione, credo che l’allarme sia stato avvertito anche dall’Associazione Italiana Piante Carnivore che a quanto pare tenta di tornare ai due eventi nazionali annui, abbandonati dal 2013.
Secondo te, quale è il motivo, e quale potrebbe essere l’input per ritornare al clima di 7-8 anni fa ?
Ad AIPC devo molto. È grazie all’associazione che io sono cresciuto sia come capacità e conoscenze tecniche sia umanamente. AIPC è stata un collante indispensabile per costruire me stesso, la mia passione per queste piante e le amicizie. Dal 2008, con l’onore di aver ospitato il primo meeting europeo in Italia, a Mira (VE), il famoso EEE (European Exibithion and Exchange), di fatto ci siamo elevati nel panorama delle piante carnivore continentale, dove ovviamente paesi come Germania, Francia, Inghilterra e Olanda, solo per citarne alcuni, erano già da prima molto più avanti, e non solo per questioni vegetali. Credo che con questa nuova visibilità siamo riusciti a organizzare sempre eventi grandiosi e per questo molto dispendiosi in termini di economia e umanità: basti pensare che persino i meeting italiani, senza scomodare gli EEE, sono di fatto simili ad eventi europei, se parliamo della presenza dei venditori e parliamoci chiaro, il 90% dei meeting è fatta dalla presenza dei venditori, perché attraggono il pubblico. Poi ovviamente se non ci fossero i workshop dei bravissimi esperti di vari settori come idraulica, elettricità, fotografia, collezioni particolare e ancora gli addetti alla banca materiali, a quella dei semi e gli organizzatori, tutto andrebbe in una bolla di sapone. Ricordo con piacere i primi anni 2000, quando a primavera c’era il meeting a Sesto fiorentino (FI) e in autunno a Povoletto (UD) dal mitico Furio Ersetti. Bei tempi quelli, bei tempi di ritrovo, di amicizia vera, e non dei contatti di Facebook, di scambio, un vero ritrovo.
Personalmente sono contento se si riesce a riorganizzare due meeting, cosi da poter portare piante diverse visto che le diverse specie danno in loro massimo in diversi periodi e poi sono due occasioni per vedersi dal vivo. Speriamo solo che le finanze lo permettano, sia per AIPC, sia per tutti coloro che vorranno partecipare ad entrambi i ritrovi.
Il lassismo, come già dicevo prima, non è solo presente nel mondo delle piante carnivore. È un riflesso che nella nostra società dilaga in vari ambiti, dagli hobby alle sfere sociali e comportamentali. Come dicevo prima è scattata la corsa al collezionismo più sfrenato, la voglia del tutto e subito allo schiocco delle dita. Bisognerebbe ritornare a 20 anni fa, e per magia le “flavacce che non valgono più” sarebbero i gioielli più belli! Il lassismo è dovuto alla banalizzazione di tutto, come sempre. Purtroppo internet e Facebook, che per molte cose sono stati positivi, hanno contribuito in buona parte alla degenerazione del tutto, dando voce a chiunque in modo incontrollato. Ed è sostanzialmente anche per questo che la gente, nonostante il potere di internet, dove ormai è scritto tutto, ancora non capisce come coltivare una dionea: tutti scrivono di tutto, tutti vogliono visibilità, tutti vogliono dire la loro, ma non si può sapere tutto, e cosi si forma la valanga di esperti dell’ultimo minuto che scrivono 100 versioni diverse, contrastanti ed errate di come coltivare la dionea. Il povero malcapitato incappa in questi scritti e annega nella confusione.
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Quest’anno hai partecipato al IX meeting Siciliano, come valuti l’evento e quali sono state le tue sensazioni all’orto botanico Pietro Castelli di Messina?
Sublime. In tutto, e per tutto, da aggiungere direi che c’è poco.
Innanzitutto per uno che viene dalla grigia pianura padana, vedere i viali con i ficus, già di per sé è speciale. Poi, al di la delle piante magnifiche che il clima e il sole siciliano permettono di coltivare, l’ospitalità, la gentilezza, la disponibilità e la simpatia di tutti: dai ragazzi del gruppo carnivoro siciliano, ai responsabili addetti all’orto botanico. Una esperienza bellissima mi è solo dispiaciuta in un aspetto: è durata troppo poco!
Sentirsi a casa a più di 1000 km di distanza non è una cosa banale, ma mi son sentito veramente come a casa. Quindi veramente grazie a tutto il gruppo siciliano per questa occasione.
Occasione che in futuro, impegni proibitivi e finanze permettendo, sarà mio piacere ripetere.
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Quali sono i tuoi progetti futuri riguardanti le piante carnivore? Continuerai ad aggiungere esemplari alla tua collezione?
Molti mi dicono che sono pazzo, che ho perso il senno. Attualmente ho una serra storica a Milano, una nuova a Bergamo e ancora una terza a Verona. Mi chiamano Risiko, perché sto colonizzando!
In realtà sono solo fasi di passaggio verso un futuro che prima o poi mi porterà a stabilizzarmi da qualche parte, e nel frattempo accumulo. Il progetto è sicuramente l’aprire un vivaio specializzato in carnivore e altre piante rare e insolite, che dopo due anni di attesa sta per divenire realtà. Invece il mio sogno è creare una collezione di Sarracenia comprensiva dei cloni più belli e rappresentativi dell’estrema genetica e variabilità. Tenendo quindi piante di S. rubra considerate da molti banali, o poco variabili come S. psittacina. Non punto a collezionare tutto ciò che è famoso, costoso, o registrato. Punto a seminare, selezionare, estrapolare il bello, il particolare, punto a realizzare una sorta di banca genetica vegetale ma in forma vivente vegetativa, e non in forma di semi dormienti.
Attualmente sono a circa 1000 cloni selezionati, ho migliaia di seedling che dovranno essere allevati per qualche anno per capire i loro caratteri, e di essi terrò in collezione solo gli esemplari particolari.
E’ un viaggio in continua evoluzione. Una cosa è certa: la mia collezioni, a parte eventi negativi che spero non accadano mai, non è destinata a ridursi, ma a crescere sempre: i cloni di non più interesse commerciale non verranno eliminati, ma rimarranno comunque in coltivazione presso di me, come ho fatto per la mia numero uno di cui ti parlavo poco fa. Ovviamente, per questioni gestionali, piano piano negli anni la collezioni andrà a crescere sempre più lentamente, perché essendo e volendo esserlo, da solo a gestire il tutto, prima o poi raggiungerò una mole di esemplari tale da non riuscire più a gestire. Ma per il momento, niente freni!
Un continuo selezionare, scegliere, ricercare.
Carnivorandia 18 febbraio 2018
Foto di Daniele Righetti